Fabbriche e ceramisti a Civita Castellana

Un libro di Augusto Ciarrocchi racconta la nascita e la storia dell’industria della ceramica locale dal 1792 al 1929
Di Simona Malagoli

Mosso da un profondo interesse per la conoscenza della storia dell’industria civitonica a partire dai suoi primordi, Augusto Ciarrocchi presidente di Ceramica Flaminia e vice presidente di Confindustria Ceramica – in quest’ultimi anni si è dedicato ad un minuzioso lavoro di ricerca, sfociato a maggio 2023, nella stesura del libro L’industria della ceramica a Civita Castellana. Fabbriche e ceramisti dal 1792 al 1929.

Nata da un’intenzione condivisa con il professore e storico dell’arte Giorgio Felini, col quale l’idea era di unire le forze per compiere un lavoro a quattro mani, la pubblicazione – a cui non è stato concesso il tempo sufficiente “per riprendere le fila del discorso iniziato con lui molto tempo prima” a causa della sua prematura scomparsa – ha voluto comunque dar seguito alle intese intercorse, riportando in appendice lo scritto di Giorgio Felini La fabbrica di terraglie.

L’industria della ceramica a Civita Castellana. Fabbriche e ceramisti dal 1792 al 1929Se la prima parte del volume intende tracciare la storia delle imprese, delle tecniche produttive e degli sviluppi che la ceramica civitonica ha avuto dalla fine del Settecento alla crisi economica mondiale del 1929, la seconda presenta un carattere anche socio-culturale, in quanto, attraverso la citazione dei ceramisti e delle relative famiglie d’appartenenza, si delinea uno spaccato sociale e di vita della popolazione lavoratrice e imprenditoriale dell’epoca. Volto a colmare un importante vuoto di conoscenza, esso tende a dipingere un quadro completo sulla storia ceramica locale del periodo, ricollegandosi inevitabilmente a quei grandi eventi storici nazionali, e non solo, che l’hanno attraversato.

L’autore porta a capire qual è stato il ruolo avuto dalle materie prime locali, dagli imprenditori e dai ceramisti forestieri nella nascita della produzione industriale di Civita Castellana, come pure i percorsi che hanno portato al declino di alcune tipologie produttive e allo sviluppo di altre, da cui sono derivate le fortune della locale industria ceramica contemporanea.

Dagli studi condotti è emerso come la scoperta dell’argilla bianca, idonea alla realizzazione dei prodotti in terraglia, secondo la moda ad uso inglese, sia stata fondamentale nello sviluppo della locale ceramica artistica ed industriale.

La produzione della terraglia ebbe inizio infatti dopo che nel 1792 i fratelli Francesco e Giuseppe Antonino Mizelli insieme a Giuseppe Valadier ottennero la concessione in esclusiva, firmata da papa Pio VI, all’estrazione dell’argilla bianca in un raggio di 22 chilometri da Civita Castellana, per la durata di vent’anni, limitata soltanto alla produzione di terraglia. Alla fine del Settecento impiantarono la prima fabbrica nei locali dell’ex albergo Osteria dei Tre Re al Ponte di Treia, sulla sponda sinistra del torrente ai piedi della rupe di Civita Castellana.

Oltre alla produzione della terraglia, l’argilla bianca o caolino consentì la sperimentazione e la realizzazione, seppur limitata e per poco tempo, della porcellana: una produzione molto complessa tecnicamente, realizzata nella tipologia del biscuit, con il caolino civitonico, da Giovanni Volpato e da suo figlio Giuseppe nella fornace di Roma.

 

Fabbrica di Treia 1844

Pierre Louis Dubourcq, veduta della fabbrica al ponte di Treia, 1844. Rijksmuseum, Amsterdam.

 

Negli anni Quaranta dell’Ottocento venne toccato uno dei punti più bassi della produzione ceramica locale; già a partire dalla seconda metà del XIX secolo, quando nuovi personaggi si affacceranno sulla scena civitonica, si inizierà però a risalire la china produttiva, sia a livello qualitativo che quantitativo. Grazie anche all’effetto traino che la manifattura Rovinetti – la sola fabbrica del territorio considerata alla stregua di impresa industriale – ebbe sui produttori locali fin dagli anni Cinquanta, si verificò un incremento della produzione civitonica nel settore della stoviglieria, diventando nei decenni successivi la principale fonte di reddito per la cittadinanza. Rovinetti aveva portato a Civita Castellana, insieme a Tommaso Roversi, le modalità di produzione delle fabbriche bolognesi, ovvero l’utilizzo – per la produzione della “terraglia ad uso inglese” – della terra (caolino) di Vicenza al posto dell’argilla bianca locale, a partire – almeno – dal 1874.

 

Foto di gruppo della Ceramica Casimiro Marcantoni, 1923.

La produzione delle fabbriche di Civita Castellana, nella seconda metà dell’Ottocento, era incentrata soprattutto sulle stoviglie da tavola, che poco si discostava da quella di inizio secolo: risultava essere soltanto più articolata e con un numero superiore di varianti, orientata a soddisfare i gusti di una clientela influenzata dalle mode inglesi e prussiane. In quegli anni, l’eccessivo costo delle materie prime, non locali, e l’assenza di macchinari nella produzione comportò la chiusura di diverse attività produttive. Con l’inizio del nuovo secolo, al fine di ridurre i costi ed essere più competitive nei confronti di altre realtà italiane, come ad esempio la Ginori di Doccia, le fabbriche di Civita Castellana si attrezzeranno per adeguarsi ai moderni sistemi produttivi. Ciò vedrà un forte sviluppo dell’attività di produzione della ceramica, sia nell’ambito dei classici settori delle stoviglie e della ceramica artistica, sia nei settori emergenti degli articoli sanitari e delle mattonelle.

Augusto Ciarrocchi riporta come la nascita delle prime fabbriche di “cessi inodori ad uso inglese” sia attestata fin dall’inizio del Novecento, come confermato dal professor De Simone nella sua relazione tecnica sullo stato delle fabbriche civitoniche del 1909. Poiché alla fine dell’Ottocento si fabbricavano anche a Civita Castellana articoli destinati alla cura del corpo e alla raccolta di deiezioni, articoli e componenti in terraglia per le latrine, è presumibile infatti che, quando in Italia vennero adottati i sistemi, perfezionati in Inghilterra negli anni Ottanta del XIX secolo dei cessi inodori tipo water closet (sistema che eliminava i cattivi odori abbinando il sifone con lo scarico a sciacquone), le fabbriche civitoniche fossero nelle condizioni di provare a realizzare questa nuova tipologia di manufatti in ceramica.

Vaso Coramusi

Vaso della Antonio Coramusi e Figlio con numero identificativo (proprietà G. Biscaccianti)

Un ruolo importante nella nascita della locale industria degli articoli sanitari l’ebbe Antonio Coramusi, un artigiano ceramista che lavorava a Roma in una piccola fabbrica di maioliche a cui si deve il merito di aver studiato e sviluppato il nuovo prodotto, eseguito le prove iniziali con le materie prime locali nella piccola fabbrica al Ponte di Terrano gestita da Giuseppe Vincenti, trapiantando nella sua città il processo di realizzazione del sanitario. In una pubblicazione del 1941 sulla storia della Regia Scuola Professionale per l’Arte della Ceramica di Civita Castellana si legge così: “Sorse così intorno al XX secolo in Civita Castellana l’industria del sanitario che, in uno con quella delle stoviglie e delle maioliche artistiche dette la prima, cospicua impronta alla nostra città di centro industriale d’importanza nazionale.”

I prodotti furono presto commercializzati in tutto il territorio italiano, nonostante il maggior mercato di destinazione fosse la capitale, in forte espansione demografica, seguito da quello delle regioni vicine. Ma periodi di difficoltà non tardarono ad arrivare, come il biennio 1919-1920, tempestato di scioperi che riguardarono l’industria, e la fatidica crisi mondiale del 1929, partita dagli Stati Uniti e che si propagò presto anche in Italia.

È su questi anni che s’interrompe il racconto di Augusto Ciarrocchi, intenzionato a dedicare un rilevante spazio anche ai ceramisti nella società civitonica e alle loro famiglie, attraverso una ricerca basata principalmente sullo spoglio dei registri dello stato civile civitonico dal 1871 – data della sua istituzione a seguito dell’annessione di Civita Castellana al Regno d’Italia – agli anni Venti del secolo scorso. Ne vengono riportate le schede personali e familiari in ordine cronologico, indicando i rapporti di parentela conosciuti e annotando le notizie sul mestiere di ceramista, anche provenienti da altre fonti.

Si tratta di un lavoro di raccordo genealogico, come sottolinea l’autore, che non vuole ritenersi esaustivo, in quanto basato soltanto sulle notizie ricavate dallo spoglio dei registri, specificatamente degli atti nei quali sono evidenziati i mestieri riconducibili alla produzione ceramica. L’obiettivo è conoscere i civitonici che avevano lavorato nelle ceramiche locali in un determinato periodo storico e collocare un ulteriore tassello “nella speranza che ciò serva per riannodare i fili con un passato a cui dobbiamo tanto”.

 

Novembre 2023

Cer Magazine Italia 65 | 11.2023
Eterno Ivica