Creatività oltre l’abitudine | di Alessandra Coppa

Odile DecqConosciuta in Italia per il progetto del MACRO a Roma, Odile Decq concepisce l’architettura come una disciplina aperta agli altri saperi che necessita di essere rinnovata per restare al passo con i tempi: lo insegna ai suoi studenti al Confluence Institute di Parigi.

 

Quale dovrebbe essere il ruolo dell’architettura oggi? Su quali temi stai lavorando in questo momento?

Il ruolo attuale dell’architettura credo sia lo stesso che ha caratterizzato la disciplina nel passato e sarà così anche nel futuro: fornire un “buon rifugio” per l’uomo e aiutare la società a essere ben organizzata attraverso l’organismo delle città e la struttura degli edifici. Mi rendo conto che questa è una risposta molto generale, è vero che l’architettura è un modo di pensare umano e che potrebbe essere totalmente diversa, tuttavia il suo impatto più importante è quello sulla vita dell’essere umano.
Ora sto lavorando sulla tipologia dell’edificio per uffici, e in conseguenza del Covid, stiamo cercando di proporre diversi modi di organizzare gli spazi di lavoro con meno persone sul posto, poiché generalmente si va in ufficio solo per le riunioni, ripensando ai luoghi di lavoro come spazi più attraenti, per favorire il benessere.

 

Come può l’architettura essere più “confortevole” per le persone, oggi e in futuro?

Oggi le persone chiedono più Natura, più spazi esterni per poter condividere e mescolare le funzioni nello stesso luogo ma non sempre nello stesso tempo. Questo è quello che vent’anni anni fa ho chiamato il “nomad living” dove, in uno spazio sufficientemente flessibile, puoi fare quello che vuoi e di cui hai bisogno in un giorno, o in una settimana.
Tuttavia, non ho mai considerato come idee utopiche questi progetti, anche se alcuni non sono stati realizzati, che sono stati ispirati da ciò che osservavo intorno a me, specialmente in considerazione delle esigenze delle nuove generazioni.
Oggi, osservando i miei studenti o le persone più giovani di me che lavorano nel mio studio, continuo a pensare che questo modo nomade di vivere gli interni sia ancora presente; ma poiché gli appartamenti economici sono veramente pochi, i giovani vivono in spazi minimi e usano la città come un luogo nomade. Non cucinano a casa, ma ordinano perlopiù pasti pronti, e fanno sport fuori casa; tuttavia, dopo il lockdown per l’emergenza Covid sono stati costretti a tornare a lavorare in casa. Questo ha creato problemi, perché i loro appartamenti erano troppo piccoli per una permanenza così lunga. Questo fenomeno ha generato nuovi desideri abitativi, come quello di avere uno spazio esterno fruibile: balconi, terrazze, un giardino. Per le famiglie con bambini è emersa l’esigenza di lasciare le metropoli e trovare una casa a una distanza ragionevole dal posto di lavoro in città, grazie ai treni ad alta velocità. E naturalmente essere in condizioni di buona salute ha assunto un ruolo primario.

 

Antares residential tower, Barcelona Antares residential tower, Barcelona

Torre residenziale Antares, Barcellona, 2020. Esterno e interno ristorante

 

E’ vero, a causa dell’emergenza Covid, c’è un maggiore “bisogno di natura”. Cosa significa oggi “architettura verde”?

Non si deve fare confusione tra Natura e bioarchitettura. Quella che prima era chiamata “architettura verde” troppo spesso aggiungeva solo alcuni aspetti o tecniche verdastre a una costruzione. Bisogno di Natura, a mio avviso, significa bisogno di qualità, di avere abbastanza spazio per muoversi e smettere di essere statici, come di solito siamo nei luoghi di vita e di lavoro. È una questione di respirazione, odore, energia e sensazione; dipende da tutti ed è molto difficile da standardizzare. Ci sono sempre più persone che dicono di voler vivere in campagna come reazione a come vivono oggi quando sono confinate in casa a causa del Covid, ma non possiamo risolvere e semplificare la “questione della natura” vivendo in campagna perché ci sono altri vincoli e limiti laggiù, non è un luogo da sogno ideale.

 

Quale dovrebbe essere la funzione della “pelle” di un edificio e il rapporto tra interno / esterno? Quali sono i tuoi materiali preferiti? Cosa pensi della ceramica?

La “pelle” è come nel corpo umano un luogo di scambio, dove il rapporto tra interno ed esterno deve essere pensato, proposto e sviluppato a seconda della cultura in cui ti trovi, in relazione alle esigenze dell’uso e alla definizione che attribuisci agli interni e agli esterni. Quindi, la questione della scelta della “pelle” è relativa, non assoluta… Mi piace giocare con condizioni ambigue per fornire una multi-interpretazione per questa relazione! I miei materiali preferiti sono principalmente il vetro e l’acciaio, ma adeguo sempre il mio senso estetico e la mia proposta architettonica alle condizioni di un progetto, per cui non escludo a priori di utilizzare anche tutti gli altri materiali. Le ceramiche sono interessanti quando mettono da parte ciò a cui pensiamo di solito. So che sono in corso di studio molte, grandi ed eccitanti innovazioni nella ceramica: questo materiale è ad esempio usato per proteggere le astronavi per quando tornano nell’atmosfera terrestre. La ceramica si può modellare, e come progettisti potremmo “giocare” molto, ma poiché si tratta principalmente di prodotti industriali, questo secondo me limita gli architetti e la nostra creatività che il più delle volte si concentra solo nei colori e nelle dimensioni. Potrei osare di sognare la ceramica “a la demande” grazie alla capacità degli strumenti robotici?

 

I colori nei tuoi progetti stabiliscono relazioni solide, lasciano un segno forte. Puoi farci qualche esempio dell’uso del colore nei tuoi progetti?

Per quanto riguarda il colore nei miei progetti, fra tutti domina il rosso e il nero, ma dalla metà degli anni Novanta ho usato anche molti colori vivaci. Nella biblioteca universitaria di Nantes, in un ristorantino di Parigi “Little Italy”…

 

The Confluence Institute, l’innovativa scuola in stile Bauhaus che hai progettato a Lione, offre nuovi approcci all’insegnamento e strategie creative per l’architettura. Vengono studiati nuovi punti di vista sul XXI secolo attraverso il contributo interdisciplinare di maker, filosofi, sociologi, scrittori e architetti. Qual è l’obiettivo della formazione?

Il Confluence Institute non è più a Lione, abbiamo trasferito la scuola a Parigi nel 2019.
L’obiettivo della formazione è aiutare gli studenti di oggi per renderli consapevoli di come utilizzeranno l’architettura nel loro futuro. Non devono necessariamente diventare architetti perché ci sono molti modi per aiutare il mondo con l’architettura! Ci sono così tanti fattori che modificheranno la professione: robotica e intelligenza artificiale si occuperanno di buona parte del lavoro che già facciamo. Quindi, le scuole devono evolversi per ripensare quale sia il valore aggiunto nello studio dell’architettura. Credo fermamente nella necessità dell’architettura per la costruzione del mondo, ma non sono convinta che il mondo abbia bisogno della nostra professione nel modo in cui la intendiamo oggi. Questo è il motivo per cui non possiamo continuare a insegnare architettura come cento anni fa. Mescolare pensatori e attori sarà il valore aggiunto: dobbiamo formare degli studenti che riescano a integrare il loro pensiero architettonico con le altre discipline qualunque sia la complessità del progetto che stiano affrontando, persone in grado di correre il rischio di spingere la loro creatività oltre il pensiero abituale. Questa è architettura.

 

Biografia
Architetto e urbanista francese, nata a Laval, Odile Decq (1955) fonda nel 1985 con Benoît Cornette (1953-1998) lo studio ODBC, il cui nome è l’acronimo delle loro iniziali.
Lo studio ODBC si segnala all’attenzione della critica internazionale per la sede della Apple Computer France a Nantes (1990); la sede della Banque Populaire de l’Ouest a Rennes (1990, con Peter Rice, vincitrice del Premio Internazionale di Architettura Andrea Palladio, il 9th International Prize for Architecture a Londra e il Prix Architecture et Travail a Rennes); il Centro Operativo Autostradale di Nanterre (1996); il porto di Osaka in Giappone (1997); l’espansione della Galleria Nazionale d’Irlanda a Dublino (1997). Dopo la prematura scomparsa di Cornette, vengono completati anche i progetti del Centro di Ricerca Saint Gobain a Aubervilles (1999) e la ristrutturazione del porto industriale di Gennevilliers (2001). Lo studio riceve il premio Benedictus a Washington (1994) e il Leone d’oro alla VI Esposizione internazionale d’architettura della Biennale di Venezia (1996).
Direttrice dell’École spéciale d’architecture a Parigi dal 2007, con il proprio studio Odile Decq ha realizzato negli ultimi decenni opere come il ristorante Phantom, all’interno dell’Opéra Garnier a Parigi (2011); il Museo di Arte Contemporanea Frac Bretagne a Rennes (2012); il Fangshan Tangshan National Geopark Museum, Nanjing in Cina (2015); il complesso dirigenziale GL Events a Lione (2014); la residenza Saint-Ange Residence a Seyssins (2015). In Italia Odile Decq è nota per l’espansione del MACRO, Museo d’Arte Contemporanea di Roma (2010). Attiva anche nel campo del design, ha firmato anche progetti di illuminazione e arredi, realizzandoli anche appositamente per i suoi progetti architettonici.
Nel 2013 Odile Decq è definita “Designer of the Year” da Maison & Object; è inoltre membro dell’Accademia di architettura francese dal 1997, commendatrice dell’Ordine delle Arti e delle Lettere dal 2001, Cavaliere della Legion D’onore dal 2003.

 

Maggio 2021


www.odiledecq.com