Il recupero dei grandi maestri del design, a partire da Gio Ponti, rappresenta un moderno filone interpretativo, dove la ceramica sposa anche il tema della salubrità degli ambienti.
C’è un’immagine che fotografa il ruolo che deve avere la ceramica alla ricerca di un auspicato New Normal, ed è quella della sfilata di Dolce e Gabbana del 17 luglio scorso nel Campus Humanitas di Milano. Abbiamo letto tutto e il contrario di tutto sul futuro post-Covid che ci attende, abbiamo registrato le spinte verso un ritorno a un mondo più semplice, declinato anche in chiave di fuga dalle metropoli. Abbiamo immaginato case-ufficio dove coltivare spazi utili per il lavoro e non solo per gli affetti. Abbiamo capito che cosa davvero è importante dopo l’ondata di paura e di dolore che ancora stiamo vivendo. Ma siamo molto lontani dall’avere certezze su una normalità che stenta a prendere forma, nella speranza di molti di svegliarsi da un brutto sogno e far finta che non sia stato vero. In tutto ciò, focalizziamoci sul ruolo della ceramica partendo da uno dei brand di moda più famosi al mondo. Cosa lega la moda e la ceramica? E perché quella sfilata, fatta quest’anno dopo il lockdown, diventa il simbolo della ripartenza per il settore?
Su Gio Ponti e la ceramica potremmo parlare a lungo. Accennando ai suoi esordi come giovane direttore artistico della Richard Ginori nel 1923; passando dal ricordo di un Gio Ponti quarantenne, con baffetti e capello impomatato, fotografato con alle spalle la decorazione in piastrelle ceramiche di un famoso caffè; arrivando ai disegni a matita per le ceramiche dell’albergo capolavoro di Sorrento, che saranno realizzati nelle sfumature del blu che prenderà il suo nome. Ricordando che nello stesso anno (1960), Gio Ponti e il genero Alberto Rosselli daranno vita alla piastrella “Triennale” per Marazzi, con quattro linee curve, un classico ancora in produzione (fateci caso: lo vedrete spuntare anche in uno spot del Parmigiano Reggiano). C’è poi una frase nel libro-manifesto di Gio Ponti “Amate l’Architettura” (1957) che mi sembra opportuno richiamare, una considerazione breve ma illuminante che dice: “la ceramica denuncia di essere un rivestimento, ma dà alla superficie un valore plastico”. Quindi riesce a trasferire l’idea di una profondità, non per forza solo prospettica o geometrica, rompendo la bidimensionalità alla quale giocoforza è destinata.
Nel pensare al nostro futuro, un dato diventa imprescindibile: abbiamo bisogno di assicurarci livelli di pulizia e igiene molto superiori a quelli di pochi mesi fa, perché la battaglia contro un nemico invisibile come il virus comincia proprio non fornendogli nascondigli, intercapedini, materiali ricettivi su cui fare presa. Pensiamo al grande dibattito sulle scuole, dove giustamente si punta sul tema del distanziamento sociale e dei dispositivi di sicurezza personali per gli studenti, salvo tenere in secondo piano il fatto che gli istituti sono in gran parte vetusti, costruiti decenni fa con materiali che oggi non garantiscono il livello di salubrità richiesto. Quello che assicura invece la ceramica.
Vedi anche:
• “Ceramics of Italy – Ahead of our Time” racconta la ceramica italiana
• La ceramica. Una scelta sicura
Settembre 2020
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