(Intervista tratta da Cer Magazine Italia n. 30 – giugno 2011)
La giuria, presieduta da Mario Botta, ha voluto premiare Francis Kéré per la sua architettura essenziale, intelligente, dove il coinvolgimento delle comunità locali diviene progetto attivo per un miglioramento delle condizioni di vita in un contesto povero come il Burkina Faso.
Con Francis Kéré l’architettura ritrova i suoi significati più profondi, legati a un’attività in grado di affrontare importanti problemi là dove ristagnano sacche di povertà e sottosviluppo che l’architettura non può ignorare: “Il suo linguaggio – sottolinea Botta – ci ripropone immagini di fondamentali elementi di grammatica compositiva: i setti delle murature di cotto che lavorano a gravità e le leggere coperture che diventano veri e propri ombrelli al di sopra degli spazi di vita. Un’architettura di grande umiltà, che indica con forza come l’etica del costruire talvolta conduca ai meravigliosi silenzi del linguaggio poetico”.
I due edifici scolastici e le abitazioni per docenti, vincitrici del Premio, sono rappresentativi di un modo d’intendere l’architettura che mira a innescare trasformazioni virtuose e durature. Ma non solo. Ci ricordano quanto possa essere ricca un’architettura povera fatta di qualità spaziali, climatiche, luministiche, tattili.
Diébédo Francis Kéré: Sono nato a Burkina Faso, un paese dove l’ottanta per cento della popolazione non sa nè leggere nè scrivere, dove la maggior parte delle persone non conosce la parola “architettura”.
La gente costruisce la casa da sè o cerca di imitare le abitazioni meglio riuscite nelle vicinanze. Se riesci a costruire un muro dritto in grado di superare la stagione delle piogge, ti ringrazierà tutta la vita.
In questi paesi sono necessarie delle case in grado di rispondere al bisogno urgente della popolazione. In Africa sognano il modo di costruire le città europee. Le nostre case sono fatte di terra.
Come ha avvicinato la gente all’architettura?
Ho cercato di creare una associazione di persone in grado di far lavorare la popolazione per costruire nuovi edifici, capace di insegnare il mestiere del costruire che da loro è inteso come una partecipazione importante alla vita sociale e culturale del villaggio. Per insegnare a costruire realizzo modelli in scala 1:1 che la gente osserva e tocca. In questo modo l’inizio della progettazione si trasforma quasi in un evento rituale.
Questi progetti devono essere più semplici possibile per poter essere compresi e ripetuti con facilità. Al villaggio penso di essere considerato come un direttore d’orchestra, così l’opera di architettura assume un forte valore etico e collettivo.
Proprio per questo motivo l’obiettivo che si propone il suo lavoro, come esplicita la motivazione al Premio, non è stato solo quello di provvedere il villaggio di una scuola migliore, ma di coinvolgere l’intera comunità nella sua costruzione, così che vi si riconosca pienamente, identificandola come il frutto di un lavoro collettivo e di un progetto comune. In che senso?
Tutti i miei progetti sono stati realizzati da giovani specialmente formati per l’occasione: e se questo non è forse il modo più rapido o conveniente per fare architettura, in una prospettiva di lungo termine è certamente il più sostenibile. È proprio questa componente “didattica” a caratterizzare la mia architettura e a determinare alcune scelte costruttive, come quella, applicata nelle scuole di Gando e di Dano, di lasciare a vista la muratura invece di ricoprirla, come invalso nella tradizione costruttiva locale, con un intonaco argilloso talora miscelato ad additivi organici. Il nuovo edificio dovrà perciò tener conto, oltre che delle caratteristiche climatiche locali, delle peculiari condizioni in cui verrà realizzato. Le tecniche costruttive dovranno essere semplici, così da poter venire assimilate dalle maestranze locali, e i materiali da costruzione facilmente reperibili, per ridurre al minimo i costi e sfruttare le risorse locali.
I suoi progetti seguono i principi di sostenibilità e della architettura bioclimatica?
Il progetto dell’ampliamento di un complesso scolastico preesistente a Dano del 2007, situato ai margini di una piccola cittadina del Burkina Faso, utilizza materiali locali ed è improntato a criteri di sostenibilità ambientale per rispondere alle specifiche condizioni climatiche. Il nuovo edificio chiude, con la sua pianta a L, l’angolo meridionale del complesso scolastico ed è orientato in modo tale da ridurre l’insolazione delle pareti, a loro volta ombreggiate da una copertura dal profilo ondulato. Mentre l’ampliamento della scuola elementare a Gando del 2008 ha seguito i medesimi principi bioclimatici dell’edificio originario, traducendoli però diversamente. Invece del soffitto massivo usato nel primo caso, si è qui ricorso a una volta provvista di spiracoli per evacuare l’aria calda e illuminare l’ambiente. Ragioni climatiche hanno indotto a integrare nella volta parti cave: l’aria ivi contenuta funge infatti da cuscinetto e limita il surriscaldamento dell’aula.
La protezione dagli agenti atmosferici è garantita, anche in questo caso, da un tetto in metallo d’ampio aggetto. Riscaldandosi per l’azione del sole, il tetto di lamiera favorisce la ventilazione tra le due coperture, facilitando l’evacuazione dell’aria surriscaldata e dunque fungendo da motore del sistema di ventilazione naturale.
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